«Convinto che ogni passo che muovevo nella vita era un contatto col terrore del nuovo, e che ogni nuova persona che conoscevo era un nuovo frammento vivo dell’Ignoto che io collocavo sulla mia scrivania per una quotidiana riflessione di paura, ho deciso di astenermi da tutto, di non andare da nessuna parte, di ridurre le azioni al minimo, di sottrarmi il più possibile agli appuntamenti con gli uomini e con gli avvenimenti, di raffinare l’astinenza e di coltivare la rinuncia. A tal punto mi spaventa e mi tortura vivere.»
«La presenza degli altri – fatto così sorprendente per l’anima in ogni momento – è per me sempre più dolorosa e angustiante. Parlare mi riempie di brividi. Se qualcuno mi dimostra interesse, io scappo. Se qualcuno mi guarda, io sussulto.
Vivo perpetuamente sulla difensiva. Gli altri e la vita mi feriscono. Non posso fissare la realtà negli occhi. Perfino il sole mi avvilisce e mi spaventa. Soltanto la sera, quando mi trovo solo con me stesso, estraneo, dimentico, smarrito, senza vincoli con ciò che è reale, senza partecipazione con ciò che è necessario, mi ritrovo e mi consolo.»«La presenza degli altri – fatto così sorprendente per l’anima in ogni momento – è per me sempre più dolorosa e angustiante. Parlare mi riempie di brividi. Se qualcuno mi dimostra interesse, io scappo. Se qualcuno mi guarda, io sussulto.
– Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine
Anche:
«L’isolamento mi ha conformato a sua immagine e somiglianza. La presenza di un’altra persona — di un’unica persona — mi fa immediatamente rallentare il pensiero; così, se nell’uomo normale il contatto con l’altro è una sollecitazione all’espressione e alla parola, in me tale contatto è un contro-stimolo [...] Solo i miei amici spettrali e immaginati, solo le mie conversazioni che si svolgono in sogno, hanno una vera realtà e un giusto rilievo, e con loro il mio spirito è presente come una immagine allo specchio.
Del resto, mi pesa solo l’idea di essere costretto a stare in contatto con qualcun altro. Un semplice invito a cena con un amico mi provoca un’angoscia difficile da definire. L’idea di un qualsivoglia obbligo sociale — andare ad un funerale, trattare insieme a qualcuno una questione d’ufficio, andare alla stazione ad attendere una persona qualsiasi, conosciuta o sconosciuta — solo l’idea mi sconvolge i pensieri per un’intera giornata, e a volte comincio a preoccuparmi il giorno prima, e dormo male, e il caso nella sua dimensione reale, quando si verifica, è assolutamente insignificante, e non giustifica nulla. Tuttavia, la cosa si ripete e io non imparo mai ad imparare.»
(tr. it. di Orietta Abbati e Piero Ceccucci, Newton Compton)