Essere ciò che penso? Ma penso di essere tante cose!
E ci sono tanti che pensano di esser la stessa cosa che non ce ne possono essere tanti!
Genio? In questo momento
centomila cervelli si credono in sogno geni come me,
e la storia non ne registrerà, chissà?, neppure uno,
e non resterà che letame di tante conquiste future.
[...]
In quante mansarde e non-mansarde del mondo
non staranno sognando a quest’ora geni-per-se-stessi?
Quante aspirazioni alte e nobili e lucide
– sì, proprio alte e nobili e lucide -,
e magari anche realizzabili,
non vedranno mai la luce del sole reale né troveranno ascolto?
Il mondo è di chi nasce per conquistarlo
e non di chi sogna di conquistarlo, anche se ha ragione.
Ho sognato più di quanto Napoleone non abbia realizzato.
Ho stretto al petto ipotetico più umanità di Cristo,
in segreto ho fatto filosofie che nessun Kant ha mai scritto.
Ma sono, e forse resterò sempre, quello della mansarda,
anche se non ci abito;
sarò sempre quello che non era fatto per questo;
sarò sempre soltanto quello che aveva qualità;
sarò sempre quello che si aspettò gli aprissero la porta in una parete senza porta
e cantò la canzone dell’Infinito in un pollaio,
e sentì la voce di Dio in un pozzo tappato.
Credere in me? No, né in niente.
Che la Natura mi sparga sulla testa ardente
il suo sole, la sua pioggia, il vento che mi trova i capelli,
e il resto che venga se verrà, o se deve venire, oppure non venga.»
«Non sono niente.
Non sarò mai niente.
Non posso volere
d’essere niente.
A parte questo, ho in me
tutti i sogni del mondo…»
– Fernando Pessoa, da "Tabaccheria", 1933, trad. di Antonio Tabucchi