«Quante cose che diamo per certe o giuste non sono altro se non le tracce dei nostri sogni, il sonnambulismo della nostra incomprensione! qualcuno sa per caso cosa è certo o giusto? quante cose che consideriamo belle non sono altro che la moda dell’epoca, la finzione del luogo e dell’ora! quante cose che consideriamo nostre non sono altro che ciò di cui siamo specchi perfetti, o involucri trasparenti, estranei nel sangue alla razza della loro natura!
Più medito sulla capacità che abbiamo di ingannare noi stessi, più svanisce fra le mie dita fiacche la sabbia fina delle certezze disfatte. E il mondo intero mi si dipana, in momenti in cui la meditazione si trasforma per me in sentimento, e con ciò la mia mente si obnubila, come una nebbia fatta di ombra, un crepuscolo di angoli e di spigoli, una finzione dell’interludio, un indugiare dell’alba. Tutto mi si trasforma in un assoluto morto di se stesso, in un ristagno di particolari. E gli stessi sensi con i quali trasferisco la meditazione in modo da dimenticarla sono una specie di sonno, qualcosa di remoto e di secondario, interstizio, differenza, casualità di ombre e della confusione.»
– Fernando Pessoa, Il secondo libro dell'inquietudine, frammento 98 (tr. it. di Roberto Francavilla, Feltrinelli 2013)