«L’immaginazione, come ho detto, è il primo fonte della felicità umana. Quanto piú questa regnerà nell’uomo, tanto piú l’uomo sarà felice. Lo vediamo nei fanciulli. Ma questa non può regnare senza l’ignoranza, almeno una certa ignoranza come quella degli antichi. La cognizione del vero, cioè dei limiti e definizioni delle cose, circoscrive l’immaginazione. E osservate che la facoltà immaginativa, essendo spesse volte piú grande negl’istruiti che negl’ignoranti, non lo è in atto come in potenza, e perciò operando molto piú negl’ignoranti, li fa piú felici di quelli che da natura avrebbero sortito una fonte piú copiosa di piaceri.
E notate in secondo luogo che la natura ha voluto che l’immaginazione non fosse considerata dall’uomo come tale, cioè non ha voluto che l’uomo la considerasse come facoltà ingannatrice, ma la confondesse colla facoltà conoscitrice, e perciò avesse i sogni dell’immaginazione per cose reali e quindi fosse animato dall’immaginario come dal vero, anzi piú, perché l’immaginario ha forze piú naturali e la natura è sempre superiore alla ragione. Ma ora le persone istruite, quando anche sieno fecondissime d’illusioni, le hanno per tali, e le seguono più per volontà che per persuasione, al contrario degli antichi, degl’ignoranti de’ fanciulli e dell’ordine della natura.»
– Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri #168, luglio 1820