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il Manifesto: La leggenda nera del Sessantotto (di Marco Bascetta)
"Per concludere questa provvisoria ricognizione delle politiche e delle ideologie che continuano a fare della resa dei conti con il Sessantotto buona parte della loro ragion d’essere, non si può certo tralasciare la riscoperta dei «valori tradizionali» nella chiave di un conformismo xenofobo e identitario che rovescia nel suo contrario quella scoperta dell’Altro che negli anni ’60 e ’70 aveva rappresentato un principio critico nei confronti dell’autocelebrazione dell’Occidente e delle sue politiche di rapina mascherate da progresso.
La persistenza dello spettro sessantottino è una delle diverse spie che meglio rivelano la natura del capitalismo contemporaneo. Il neoliberismo, infatti, a differenza del suo antenato liberale, si manifesta nella forma della controrivoluzione. Caratteristica di una controrivoluzione non è tanto il ripristino delle condizioni che precedevano l’insorgenza rivoluzionaria (a prescindere dal suo grado di radicalità o di successo) quanto la neutralizzazione o la messa sotto controllo dei possibili fattori di cambiamento, in un processo articolato di delegittimazione delle soggettività ribelli. Una controrivoluzione, in altre parole, non restaura un assetto ma un corso della storia ritenuto alterato e deviato dall’illusoria ricerca di un’alternativa. E imputa a quella ricerca effetti grotteschi o disastrosi. È dunque la facoltà stessa di ricercare che essa intende abrogare. Non è un caso che un controsenso come il «non ci sono alternative», sia diventato la colonna sonora preferita dall’establishment.
Sia chiaro, la controrivoluzione neoliberista si è trovata a fare i conti con una storia ben più lunga e potente della stagione a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, che tuttavia ha rappresentato l’ultimo momento in cui un diverso corso (diverso anche dal socialismo d’anteguerra e dalla sua discendenza) fu spasmodicamente sperimentato. Per questa ragione l’«odio per il ’68» occupa un posto così importante nel discorso pubblico e influenza ancora a distanza di mezzo secolo le riforme politiche destinate a garantire l’ordine del mercato e l’autorità dello stato che gli fa da cornice. Del 1968 si può insomma pensare tutto quello che si vuole, dilettarsi a celebrarne le virtù modernizzatrici o stigmatizzarne le distruttive illusioni, a patto di non perdere di vista gli effetti di quella demonizzazione implicita che ne sottende financo la celebrazione.
Ogni politica di «legge e ordine» ha assoluto bisogno di un tempo del caos con il quale misurarsi, del ricordo di un mondo turbolento e minaccioso che faccia risaltare la pacificazione che essa promette sorvolando sugli inconvenienti che comporta. Alla stagione dei movimenti è toccato in sorte questo compito. Il «libro nero» del Sessantotto ci rivela ciò che oggi i poteri costituiti aborriscono e temono. È la ragione per cui vale la pena di sfogliarlo tra un decennale e l’altro."