il Manifesto: La speranza di Bauman in un altro mondo (di Piero Bevilacqua)
«Il sociologo polacco smonta l’uso negativo, tanto colto che banale, del termine immesso nella cultura dell’Occidente da Tommaso Moro. Utopia diventa il lemma per designare, col senno di poi, l’impresa troppo ardita e non riuscita, il progetto fallito, insomma l’aspirazione impossibile. Al contrario, essa alimenta, l’immaginazione del sociale possibile, oltre le condizioni del presente, infrange il dominio apparentemente schiacciante dell’ordine costituito. E oggi, aggiungiamo noi, consente di liberarsi dall’utopia negativa, dall’ideologia camuffata del "non c’è alternativa", di rompere le gabbie di un ordine sociale preteso immodificabile in quanto "naturale", l’unico possibile.
L’UTOPIA è dunque l’orizzonte che muove gli uomini, perché in grado di far sentire la propria vita sociale come progetto, proiezione creativa verso un possibile mondo migliore. In una società in cui il "futuro" delle ciance politiche e pubblicitarie (hanno talora la stessa menzognera semantica) è affidato all’uscita sul mercato dell’ultimo modello di smartphone, il ritorno dell’utopia socialista costituisce un antidoto culturale e politico di prima grandezza. Si tratta, d’altra parte, di un aspetto ineliminabile della storia umana. Lasciamolo dire a Bauman: "Credo che non si possa comprendere realmente la vita sociale se non si presta la dovuta attenzione al ruolo fondamentale giocato dall’utopia. Le utopie si pongono, rispetto alla totalità della cultura – per parafrasare Santayana – come un coltello con la lama rivolta contro il futuro. Esse provocano costantemente la reazione del futuro sul presente producendo così la nota miscela nota come storia dell’umanità".»
«Il sociologo polacco smonta l’uso negativo, tanto colto che banale, del termine immesso nella cultura dell’Occidente da Tommaso Moro. Utopia diventa il lemma per designare, col senno di poi, l’impresa troppo ardita e non riuscita, il progetto fallito, insomma l’aspirazione impossibile. Al contrario, essa alimenta, l’immaginazione del sociale possibile, oltre le condizioni del presente, infrange il dominio apparentemente schiacciante dell’ordine costituito. E oggi, aggiungiamo noi, consente di liberarsi dall’utopia negativa, dall’ideologia camuffata del "non c’è alternativa", di rompere le gabbie di un ordine sociale preteso immodificabile in quanto "naturale", l’unico possibile.
L’UTOPIA è dunque l’orizzonte che muove gli uomini, perché in grado di far sentire la propria vita sociale come progetto, proiezione creativa verso un possibile mondo migliore. In una società in cui il "futuro" delle ciance politiche e pubblicitarie (hanno talora la stessa menzognera semantica) è affidato all’uscita sul mercato dell’ultimo modello di smartphone, il ritorno dell’utopia socialista costituisce un antidoto culturale e politico di prima grandezza. Si tratta, d’altra parte, di un aspetto ineliminabile della storia umana. Lasciamolo dire a Bauman: "Credo che non si possa comprendere realmente la vita sociale se non si presta la dovuta attenzione al ruolo fondamentale giocato dall’utopia. Le utopie si pongono, rispetto alla totalità della cultura – per parafrasare Santayana – come un coltello con la lama rivolta contro il futuro. Esse provocano costantemente la reazione del futuro sul presente producendo così la nota miscela nota come storia dell’umanità".»