«Quel venerabile senato dell’Areopago giudicava di notte, per paura che la vista delle parti in causa corrompesse la sua giustizia. Perfino l’aria e la serenità del cielo causano in noi dei cambiamenti [...].
Non sono soltanto le febbri, i beveraggi e i gravi accidenti che sconvolgono il nostro giudizio: le minime cose lo fanno girare. E non c’è dubbio, ancorché non ce ne accorgiamo, che se la febbre continua può abbattere la nostra anima, la febbre terzana vi apporta qualche alterazione, secondo il suo grado e la sua forza. Se I’apoplessia estingue e spegne del tutto la luce della nostra intelligenza, non c’è dubbio che il raffreddore la offusca. E quindi si può cogliere appena un’ora sola nella vita in cui il nostro giudizio si trovi nel suo debito assetto, essendo il nostro corpo soggetto a tanti continui mutamenti e corredato di tante molle che, a sentire i medici, è davvero difficile che non ce ne sia sempre qualcuna che tiri di traverso.
Del resto, questa malattia non si scopre tanto facilmente, se non è proprio gravissima e irrimediabile: poiché la ragione va sempre storta e zoppicante e sciancata, e con la menzogna e con la verità. Così è difficile scoprire il suo errore e traviamento. Chiamo sempre ragione quell’apparenza di raziocinio che ognuno fabbrica in sé; questa ragione, della cui specie ce ne possono essere cento contrarie riguardo a uno stesso oggetto, è uno strumento di piombo e di cera, allungabile, pieghevole e adattabile per ogni verso e ad ogni misura: non resta che l’abilità di saperlo modellare.»
– Montaigne, Saggi (II, XII), tr. it. di Fausta Garavini, Bompiani