«In senso proprio, che cosa sa l’uomo su se stesso? Forse che, una volta tanto, egli sarebbe capace di percepire compiutamente se stesso, quasi si trovasse posto in una vetrina illuminata? Forse che la natura non gli nasconde quasi tutto, persino riguardo al suo corpo, per confinarlo e racchiuderlo in un’orgogliosa e fantasmagorica coscienza, lontano dall’intreccio delle sue viscere, dal rapido flusso del suo sangue, dai complicati fremiti delle sue fibre? La natura ha gettato via la chiave, e guai alla fatale curiosità che una volta riesca a guardare attraverso una fessura dalla cella della coscienza, in fuori e in basso, e che un giorno abbia il presentimento che l’uomo sta sospeso nei suoi sogni su qualcosa di spietato, avido, insaziabile e, per così dire, sul dorso di una tigre. In una tale costellazione, da quale parte del mondo sorgerà mai l’impulso verso la verità?»
– Friedrich Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale (in La filosofia nell’epoca tragica dei greci e scritti 1870-1873, Adelphi, 1991, p. 229, tr. it. di G. Colli)