E par che gridi dentro alla foresta
La buona notte della terra ai figli.
Manda sul colle il raggio suo la luna,
E sulla valle dove il bosco mormora
Corron le grigie nuvole. Il ruscello
Scende portando con sommesso pianto
Le foglie dei morenti alberi. Mai
Io non udii ruscel più dolcemente
Piangere. Al lido sorge il mesto salice
Col ricadente fragile suo crine;
Io ripensando ad un estinto amico
Guardo il ruscel che mormora correndo
Non ci vedremo più. Ma l'aria a un tratto
Di voci odo suonar. Son le selvagge
Oche fuggenti innanzi all'invernale
Orror: con ala rapida sen vanno,
Lasciando dietro a sé l'autunno e sui
Colli il morire e lo sfiorire. Or dove
Son esse? Come pronte anzi alla chiara
Luna passar celandosi allo sguardo!
Ma quel grido presago è ancor nell'aria
E al cuore un senso di tristezza infonde.
Con cicaleccio frettoloso al Sud
Traggon gli augei, ma pur ricuopre l'ala
Della Morte anche il Sud. Negli inquieti
Sogni all'Eterno la Natura aspira
Via da' regni di morte: il rauco appello
Dei pellegrini alati il grido sembra
Del folle sogno d'un'eterna vita.
Più non li sento, e' son di qua già lunge:
Comincia il canto funebre del dubbio
Nel petto mio: la vita è illusione,
Fata Morgana solo: orma bugiarda
Dell'Eterno; ma allor perchè si piange,
Se apparenza è la vita, al suo finire?
È apparenza anche il pianto? In tal maniera
Corrono i pensier miei, sbrigliati come
Sopra la valle i nuvoli d'autunno.
– Nikolaus Lenau, Sera d'autunno (Ein Herbstabend)
[da "Lenau e Leopardi, studio psicologico-estetico con un saggio di versioni poetiche dal Lenau", di Alfredo Faggi, Alberto Reber ed., 1898, Palermo, pp. 61-62]