«[...] proprio a questo tendono tutti gli ordinamenti dell’uomo, a fare cioè in modo che la vita, in una continua distrazione dei pensieri, non venga sentita.
Ma perché egli vuole così energicamente l’opposto, sentire cioè proprio la vita, vale a dire soffrire per la vita? Perché vede che lo si vuol frodare di lui stesso e che vi è una specie di accordo per rapirlo via dalla sua caverna. Allora si ribella, tende gli orecchi e decide: "io voglio rimanere mio!". È una decisione spaventosa; solo a poco a poco se ne rende conto. Ora infatti deve affondare nella profondità dell’esistenza con una serie di domande insolite sulle labbra: perché vivo? quale lezione debbo trarre dalla vita? come sono diventato qual sono e perché soffro di questo esser-così? Si tormenta: e vede che nessuno si tormenta così, che, anzi, le mani del suo prossimo sono appassionatamente tese verso i fantasmagorici avvenimenti che il teatro politico offre, oppure che gli uomini vanno facendo mostra orgogliosa di sé in cento maschere come giovani, uomini, vecchi, padri, cittadini, preti, funzionari, mercanti, assiduamente preoccupati della loro commedia comune e niente affatto di sé. Alla domanda: a che vivi? essi risponderebbero rapidamente e con orgoglio: "per diventare un buon cittadino, scienziato, uomo politico"; eppure essi sono qualche cosa che non può diventare niente altro, e perché sono per l’appunto ciò? Ahimè, e niente di meglio? Chi intende la sua vita soltanto come un punto nello sviluppo di una stirpe, di uno Stato o di una scienza, e dunque vuole appartenere completamente al racconto del divenire, alla storia, non ha compreso la lezione che l’esistenza gli impartisce e deve studiarla un’altra volta. Questo eterno divenire è un menzognero giuoco di burattini per il quale l’uomo dimentica se stesso, la vera e propria distrazione che disperde l’individuo a tutti i venti, il giuoco insipido e senza fine che il grande fanciullo tempo giuoca davanti a noi e con noi. L’eroismo della veridicità è di cessare un giorno di essere il suo giocattolo.»
– Friedrich Nietzsche, Schopenhauer come educatore, tr. it. di Mazzino Montinari